Lavorazione del vetro

 

Nel contesto storico, per la popolazione che il nostro gruppo rievoca, il vetro aveva una notevole importanza, testimoniata dai ritrovamenti in numerose tombe.

E’ nata così l’esigenza di portare a conoscenza del pubblico di come i Celti potessero lavorare questo materiale con i semplici mezzi che erano a loro disposizione.

La cosa curiosa è che dai ritrovamenti, in Italia, non si è mai scoperto un sito produttivo di questo materiale, più che altro si intuisce che il vetro venisse prodotto in loco attraverso l’analisi della composizione dell’impasto, che differisce anche molto a seconda degli ingredienti che erano disponibili presso le fornaci.

Il vetro nasce in Mesopotamia e in Egitto più o meno contemporaneamente, all’incirca nel 2000 a.C. Esso nasce per l’esigenza di produrre manufatti in sostituzione delle pietre semipreziose di difficile reperimento.

Il vetro è composto da silicio più o meno puro, a seconda delle sabbie utilizzate, che, tuttavia, fonde a temperature molto elevate. Per abbassare il punto di fusione occorreva aggiungere un ulteriore componente: la soda.

Questa infatti è in grado di abbassare il punto di fusione a circa 900°C, temperatura  facilmente raggiungibile dalle fornaci dell’epoca.

La soda era un prodotto tipico del Medio Oriente e veniva chiamata Natron, materiale ben conosciuto nell’antichità.

In Europa, in luogo della soda, veniva impiegate la potassa, ricavata dalle ceneri di determinate piante. Questo distingue il vetro europeo dal vetro medio orientale.

Il vetro così composto aveva l’indesiderata caratteristica di essere idrosolubile, quindi per renderlo più fruibile occorreva aggiungere la calce, che lo rendeva eterno ed infinitamente riciclabile.

Con questo materiale i Celti realizzavano principalmente monili creando gneralmente vaghi tondeggianti (le perle di vetro) decorati più o meno elaboratamente.

La tecnica impiegata è del tutto simile a quella che oggi si chiama “antica lavorazione a lume”, il vetro veniva scaldato in fornace e  stirato in barrette tonde di diverso colore queste ultime, raffreddate, venivano scaldate nuovamente a una fiamma più piccola, il vetro veniva, poi,  fatto colare su bacchette metalliche, e qui, “avvolto” fino a creare la perla madre, poi decorata per sovrapposizione di strati successivi di vetro di diverso colore.

All’epoca non esistevano tuttavia cannelli ne lumi che producessero le temperature necessarie alla lavorazione.

Si suppone quindi che venissero impiegate fornaci più piccole per permettere al vetro di sciogliersi delicatamente sulle bacchette, e permettere all’artigiano di operare agevolmente per creare l’opera.

L’associazione ha realizzato una fornace “aperta” in argilla, alimentata da carbone di legna.

La fiamma viene ulteriormente alimentata da un mantice che, soffiando, porta ossigeno alla fornace e permette di ottenere temperature adeguate alla lavorazione.

Il sistema funziona piuttosto bene, e permette di realizzare discreti manufatti, anche se, rispetto alla lavorazione moderna , con appositi cannelli a ossigeno e gas, portano alcuni colori vitrei a virare, o a creare screziature, per l’impossibilità di regolare e ottimizzare la carburazione della fiamma.

Questo per offrire una risposta a quanti si chiedono, come quegli antichi uomini creassero le loro opere d’arte, e quanto fosse complesso realizzarle.

Resta  inteso  che la lavorazione del vetro non era pensabile all’interno di un contesto di insediamento mobile, per la delicatezza della fornace e per la difficoltà di trasporto è probabile che fosse costruita il loco e li lasciata.

(Testo a cura di Gianluca Calamai e Susanna Pisa)

Foto del Museo di Antichità di Torino
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